Sommario di questo articolo:
Lo #spiegoneteatri di Roma Weekend vi segnala il meglio della programmazione teatrale a Roma: nel corso della stagione saranno molti gli spettacoli da non perdere.
La gioia
Teatro Argentina, dal 5 al 10 marzo
Uno spettacolo sul sentimento più bello e misterioso, frutto di una circostanza unica e di un viaggio attraverso i sentimenti più estremi come l’angoscia, il dolore, la felicità, l’entusiasmo: questo è La gioia di Pippo Delbono. Un vortice di suoni, immagini, movimenti, balli, si fondono con la magia del circo, i colori dei clown, la malinconia del tango; una pienezza di visioni, suggestioni, si fondono tra loro a comporre quel “mare nostro che non sei nel cielo” della laica preghiera di Erri De Luca fino ad esplodere in una cascata di fiori.
Pippo Delbono e la sua compagnia accompagnano il pubblico in un itinerario delle emozioni, in una girandola caleidoscopica di maschere, storie personali, stati d’animo, in un racconto semplice ed essenziale, che passo dopo passo conduce a trovare la “gioia”, intesa come qualcosa «che c’entra con l’uscita dalla lotta, dal dolore, dal nero, dal buio. Penso ai deserti, penso alle prigioni, penso alle persone che scappano da quelle prigioni, penso ai fiori – racconta Pippo Delbono – Ho scelto di intitolare il mio nuovo spettacolo La Gioia, una parola che mi fa paura, che mi evoca immagini di famiglie felici, di bambini felici, di paesaggi felici. Tutto morto, tutto falso. Ma chi viene a teatro a vedere uno spettacolo in cui c’è la parola morte? In questi tempi dove la gente va a teatro per rilassarsi anche con opere impegnate culturalmente, ma che li riconcilia. Quanta paura c’è a pronunciare la parola morte. Va bene se si tratta di una morte spettacolare, patetica, ma quanta paura c’è nell’accettare la parola morte con serena lucidità».
Indirizzo: Largo di Torre Argentina
Orario:prima ore 21; martedì e venerdì ore 21; mercoledì e sabato ore 19; giovedì e domenica ore 17.00
Ingresso: da 12 a 40 euro
La governante
Teatro Quirino, dal 5 al 17 marzo
Questa commedia, scritta nel 1952, fu subito censurata. La scusa era quella del tema – allora molto scottante – dell’omosessualità, anche se Brancati sosteneva che la sostanza della vicenda è più la calunnia che l’amore fra le due donne. Ma sullo sfondo di un complesso discorso sull’etica e sulla responsabilità individuale, il testo è pieno di accenti polemici contro l’ipocrisia dei benpensanti cattolici, i principi della Sicilia baronale e contro la censura stessa.
La vicenda de La Governante è imperniata su Caterina Leher, governante francese assunta in casa Platania, famiglia trapiantata a Roma il cui patriarca, Leopoldo, ha sacrificato la vita di una figlia, morta suicida, ai pregiudizi della sua morale.
Caterina è calvinista e viene considerata da tutti un modello d’integrità. Vive perciò segretamente la propria omosessualità, una «colpa» cui si aggiunge quella di aver attribuito a una giovane cameriera dei Platania le proprie tendenze, causandone il licenziamento. Caterina si sente responsabile della morte della ragazza, coinvolta in un incidente mentre tornava al Sud: un peccato che la governante deciderà di espiare con il suicidio.
Indirizzo: via delle Vergini 7
Orario: martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato ore 21 e sabato e domenica ore 17
Ingresso: da 14 a 20 euro
Il cielo non è un fondale
Teatro India, dal 6 al 10 marzo
PREMIO UBU 2017 A GIANNI STAROPOLI PER LUCI E ALLESTIMENTO SCENICO
Il cielo non è un fondale parte da un sogno che è a sua volta generato da una canzone. E’ lì, tra il buio e il corpo della musica che inizia il vero, paradossale lavoro del teatro: sognare gli altri assieme a loro, in uno spazio scenico vuoto che si ingrandisce e si restringe, come l’architettura, a un tempo contratta e smisurata, della nostra mente.
In questo luogo sospeso, Antonio racconta di aver sognato Daria nei panni di una barbona e, pur avendola riconosciuta, di essere passato oltre; quel gesto innesca una ritmica di incontri e di misconoscimenti, di cadute e di incidenti, di parole e di canzoni, scandita da due sentimenti contraddittori: la paura di essere noi stessi l’altro, l’escluso, “l’uomo che mentre tutti sono al riparo resta da solo sotto la pioggia” e il desiderio di metterci, per una volta, al suo posto.
Ma come conciliare la compassione e un’obesità dell’io che non resiste alla tentazione di sostituire a ogni storia la propria? In scena quattro persone slittano continuamente fino alla soglia di figure intraviste che non potranno mai essere dando vita a un atto drammatico “senza trama e senza finale” (come suggeriva Cechov a un giovane autore) che si avventura alla ricerca di chi sono gli altri in noi e di chi siamo noi negli altri.
In una metropoli di tutti e di nessuno, che si porta appresso bagliori di Roma, di Milano, di Londra, appaiono e scompaiono le figure di Alom, il venditore di rose che un tempo era un generale nell’esercito del Bangladesh, di Mohamed l’aiuto-cuoco pakistano, della vera barbona incrociata nel giardino del sogno e che assomiglia a Daria, e poco importase siano ricordi di autentici incontri o fantasmi rimasti impigliati a una fotografia ingiallita scattata nel 1902 ai proletari dell’East End londinese addormentati in un parco.
A dar loro una forma è il corpo delle canzoni presenti nello spettacolo, di una soprattutto, La domenica di Giovanni Truppi, che, sciolta nei dialoghi, diventa il simbolo dell’impossibilità di trasformare la vita quotidiana in una mera idealità. Anche perché come dice alla fine la canzone “va a finire sempre che la domenica la gente litiga”.
Indirizzo: Lungotevere Vittorio Gassman, 1
Orario: ore 21; domenica ore 18
Ingresso: da 12 a 20 euro
Giro di vite
Teatro Torlonia, dall’8 al 10 marzo
Giro di vite è un racconto di fantasmi, unico nel suo genere, che Oscar Wilde ha definito meraviglioso,altrettanto violento e scioccante di una tragedia elisabettiana. Il climax che conduce al tragico snodo finale genera suspense ed emozioni uniche.
Una storia che si sviluppa attraverso gli occhi dell’istitutrice, a cui il romanziere non dà un nome, alla quale non vorremmo credere, incapaci spesso di accettare il pensiero che il male esiste e che, quando si manifesta, è sempre tutt’altro che gradevole.
A dare corpo a questa donna è Irene Ivaldi, che racchiude in sé una polifonia di voci e rumori del pensiero, attraverso una interpretazione amplificata. Un punto di vista libero, uno sguardo sull’abisso, privo di qualsiasi giudizio morale, che chiama in causa la coscienza di ogni spettatore e lo spinge a porsi riflessioni e domande, in un’atmosfera abitata da demoni e incubi.
Indirizzo: Largo Spallanzani 1 A
Orari: ore 20; domenica ore 17
Promozione 24 €
biglietto a 8 € se vedi tutti e tre gli spettacoli della Trilogia Malosti
Operastracci
Uno spazio scenico, simile ad un Ring, ricoperto di stracci, i quali danno vita a veli, palloni, guantoni, pance, bambole/marionette che giocano con gli attori, facendosi carico dei sentimenti più forti, la tenerezza, il ricordo, l’elaborazione della perdita.
Operastracci è il racconto dei sentimenti di due ragazzi che si incontrano, si conoscono, si scoprono, crescono insieme sino a quella misteriosa unione tra due vite, sino alle sue estreme conseguenze: la separazione e “la perdita”. Si intrecciano il mistero dei legami e degli affetti. Sulla musica e sulle voci dell’opera lirica, si snodano due storie parallele tra loro: quella di due ragazzi e della parabola della loro vita, del loro incontro da fanciulli sino all’età adulta; e quella di spaurite marionette grandi come persone, fatte di stracci, spettatori della prima vicenda.
Tutto immerso e avvolto nelle arie del melodramma, a sorreggere le atmosfere, le emozioni e persino i giochi, con la misteriosa magia con cui una voce da tenore e altissime note da soprano riesce sempre a coinvolgere chi l’ascolta.
Senso
Indirizzo: Largo Spallanzani 1 A
Orari: ore 20
Promozione 24 €
biglietto a 8 € se vedi tutti e tre gli spettacoli della Trilogia Malosti
Gioie e dolori nella vita delle giraffe
Teatro India, dal 12 al 17 marzo
Gioie e dolori nella vita delle giraffe, scritto dal drammaturgo portoghese Tiago Rodrigues e ora messo in scena dal regista Teodoro Bonci del Bene, è una favola straniata e straniante sui contrasti, le disarmonie e gli opposti che caratterizzano la nostra sfuggente realtà.
«Chi è Giraffa, cosa fa Giraffa, la protagonista? È una bambina di nove anni» racconta Vincenzo Arsillo, traduttore del testo, «troppo alta per la sua età, che deve svolgere un compito: fare una ricerca sulle giraffe. E in questa ricerca, attraverso questa ricerca, inizia un vagabondaggio nella Lisbona di oggi, e di sempre e di mai, dove ogni incontro è un indizio e una complicazione, una rivelazione e un disincanto, una ferita e una risata.
E tutto questo è giocato dall’autore su infiniti e sottilissimi scarti linguistici, delicati e profondi come sogni reali o come immagini rivelatrici e insensate. E così nella ampollosità innaturale di Giraffa, che parla spesso per definizioni e che riproduce imperfettamente registri linguistici elevati in contesti di comunicazione che immagineremmo informali, si riflette il turpiloquio pervasivo del peluche Judy Garland. Tutto ci parla di contrasti e di dismisura, la vera cifra segreta del testo».
La ricchezza di questa «scena teatrale di formazione» firmata da Tiago Rodrigues si amplifica nella messa in scena di Teodoro Bonci del Bene, che chiama in causa, per dare corpo allo spettacolo, l’universo dissonante delle «subculture, ovvero di quei gruppi che hanno espresso nella storia della collettività una forma di socialità non istituzionale, distinguendosi dalla cultura di massa per comunione di stili di vita e visioni del mondo diverse rispetto a quelle imposte dal mainstream.
Spesso identificate come devianti e pericolose, le subculture hanno trovato il proprio habitat naturale nell’undergound e, a seconda dei casi, sono state assorbite e riadattate al consumo di massa». Così, nella lettura di Teodoro Bonci del Bene, i personaggi di Gioie e dolori nella vita delle giraffe sono stati costruiti ispirandosi ad alcune delle più importanti subculture del Novecento, dando loro precise connotazioni estetiche e iconografiche che emergono nella scelta di capi di abbigliamento e codici comportamentali.
Divertendosi a intessere un gioco di codici e linguaggi non solo verbale, ma anche visuale, lo spettacolo inizia il suo percorso socio-culturale dalla periferia inglese della fine degli anni ’60: qui i giovani proletari, criticando il progressivo imborghesimento della working class, iniziano a rasarsi la testa, indossare bretelle, polo Fred Perry, blue jeans attillati e scarponi da lavoro. Nasce il movimento skinhead a cui si ispira il personaggio di Judy Garland (alias il vecchio, alias il bancario del pacchetto di zucchero) che, come tutte le “teste rasate” dell’epoca, ripudia lo stile di vita aristocratico, parla di temi legati al lavoro in fabbrica e si aggrega ad altri skinhead per ascoltare musica reggae e ska importata dai fratelli neri jamaicani, i cosiddetti rude boys.
Dall’America glam e punk Rock dei primi Settanta, quella di David Bowie che sta producendo l’album di esordio di Lou Reed, Transformers, quella della Lower East side di Manhattan, quella dei Television, i Ramones, i Blondie e Patti Smith, arriva invece il padre/madre di Giraffa (alias Cechov): costumi androgini e make-up, grande presenza scenica e sessualità.
Indirizzo: Lungotevere Vittorio Gassman, 1
Orari: ore 21; domenica ore 18
Ingresso: da 12 a 20 euro
I Giganti della Montagna
Teatro Eliseo, dal 13 al 31 marzo
Gabriele Lavia , dopo Sei personaggi in cerca d’autore e L’uomo dal fiore in bocca… e non solo , chiude la sua personale trilogia pirandelliana con I giganti della montagna, “l’ultimo dei miti, testamento artistico di Luigi Pirandello, il punto più alto e la sintesi di tutta la sua poetica”. Una compagnia di teatranti guidata dalla contessa Ilse arriva alla villa detta La Scalogna, dove vive uno “strano” mago che dà loro rifugio: Cotrone, che dice di essersi fatto “turco” per il “fallimento della poesia della cristianità”.
Indirizzo: via Nazionale
Orario: prima ore 20; martedì, giovedì, venerdì e sabato ore 20; mercoledì e domenica ore 17
Ingresso: da 15 a 35 euro
Anna Karenina
Teatro Torlonia, dal 15 al 17 marzo
Un fitto e incessante dialogo tra voce e violoncello compone e intesse la traiettoria della vita di Anna Karenina, bella, giovane, brillante, ma sottoposta alle ferree regole di convivenza della società pietroburghese.
L’incontro con il giovane Vronskij, – ricco, intelligente, nobile –, è deflagrante per il futuro della donna poiché, per lui, Anna rifiuta l’offerta di divorzio che il marito le offre e rinuncia a vedere il figlio che ama.
Anna appare come un uccellino in gabbia, che vorrebbe scappare al di là delle sbarre, ma si accorge di non poter volare. Una moderna eroina, la quale desidera che l’amore – corrisposto – per Vronskij non sia contaminato dalle leggi che regolamentano i rapporti ordinari. Prigioniera di sé stessa, teme di perdere l’uomo che ama, dando voce al suo pensiero con frasi sincopate, urlate, singhiozzi, singulti, sbuffi più veloci di un treno che non si ferma.
Un destino tragicamente segnato, una morte determinata dalla mancanza di libertà, da un muro di ostilità che conduce alla disperazione.
Orari: ore 20, domenica ore 17
Promozione 24 €
biglietto a 8 € se vedi tutti e tre gli spettacoli della Trilogia Malosti